La minestra “strinta”, ma quale piatto povero!

“Quando oramai 16 anni fa ho dovuto decidere come impostare il menù dell’Osteria, e quindi pensare ai piatti più caratteristici della cucina cilentana, il primo pensiero andò a lei: la minestra strinta. La definizione ‘piatto povero’ non rende l’idea perché, mentre ben si adatta alle caratteristiche dei suoi ingredienti base, niente è più lontano dal descrivere la ricchezza del suo sapore.

La si trova in tutte le cucine contadine, con altri termini e varianti: foglie e patate, mallone. Era il piatto dei contadini, abituati a ricavare il massimo da ciò che la natura forniva. Il termine ‘minestra’ evocherebbe una pietanza brodosa. In realtà la minestra è ‘strinta’ sia perché un tempo le verdure cotte si stringevano nei canovacci di cotone per asciugarle per bene, sia perché vengono ripassate a lungo nella padella finché non si stringono talmente tanto da attaccarsi un po’ sul fondo.

La ricetta è semplicissima. La regina del piatto è la cicoria. L’ideale è quella selvatica, naturalmente, ed è molto meno difficile trovarla di quanto si pensi. Basta chiedere un po’ in giro nei mercati. Accanto a lei poi ci sono soprattutto broccoli e ogni tipo di verdure selvatiche: cardi, bietole, borragine, scarole. Le verdure si scaldano mantenendole un po’ al dente e si mettono a scolare molto bene in modo che perdano tutta l’acqua. Si cuociono le patate e si pelano. Poi si prepara un battuto con aglio, cipolla e peperoncino. In una grande padella si mette a scaldare abbondante olio d’oliva, poi si mette a soffriggere il battuto avendo cura di non farlo bruciacchiare.

Nel frattempo su un tagliere si sminuzzano le verdure ben strizzate e si uniscono al soffritto. Si uniscono le patate passandole allo schiacciapatate in modo da rendere più semplice amalgamarle, ma in mancanza dell’attrezzo si possono anche fare cubettini piccoli. Si rigira l’insieme di verdure finché non sono ben amalgamate, circa 15 minuti. Il pane vecchio di qualche giorno lo si taglia a cubetti, lo si tosta nel forno e lo si conserva in un barattolone con la guarnizione in modo che la croccantezza duri parecchi giorni.

Nel momento dell’assemblaggio si procede in questo modo. In una padella si mette un generoso goccio di olio, uno spicchio di aglio, un pezzetto di peperoncino ed una manciata di cubetti di pane. Si fa tostare il tutto per bene senza far bruciare il pane. Poi si aggiungono le verdure cotte, un mezzo mestolino di acqua calda e un altro po’ di olio e si comincia a girare e ad amalgamare bene il tutto. E qui non c’è un tempo definibile, come si dice da noi ‘si fa a occhio’.

La minestra è pronta quando è perfettamente asciutta ed una parte si comincia ad attaccare al fondo della pentola. E’ per questo motivo che il tegame per la minestra è un oggetto di culto di una vera cucina cilentana, al pari di un set di coltelli Kai Wasabi o di una pentola di coccio di famiglia. Quando la minestra è pronta si serve aggiungendo un filo di olio a crudo. Naturalmente per olio intendiamo sempre olio extravergine di oliva, magari quello dell’olivo pisciottano, pianta ricca e generosa.

Da quel giorno di 16 anni fa, la minestra strinta non è mai più uscita dal menù ed è diventata la ricetta simbolo dell’Osteria, anche perché la nostra variante ha delle proporzioni ben precise tra le verdure che la rendono unica. In questi anni è stata capace di vincere le resistenze più inflessibili, dai ‘non mangio verdure’ fino ai bambini abituati alle patatine di McDonald.

E’ stata gustata ed elogiata perfino dall’Ambasciatore di Francia, nostro ospite, che ce ne ha chiesta la ricetta. In suo nome è anche nato il gruppo su Facebook ‘Gli amanti della minestra strinta’. La storia della minestra strinta è un po’ la storia di Cenerentola: dalle tavole povere dei nostri contadini fin sulla tavola del re!”

Sabrina Prisco – Osteria Canali di Salerno

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